Lettera Agli Allievi Dell'Alta Formazione
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza." Canto 26 dell’Inferno di Dante
La mia lettera aperta dedicata a tutti i miei allievi dell'ITS Angelo Rizzoli di Milano, sia quelli che hanno completato il percorso scolastico e sono già inseriti nel mondo del lavoro, che quelli che si avviano all’inizio del nuovo anno scolastico ormai alle porte. Un incoraggiamento appassionato, un consiglio ispirato ai celebre verso dell'episodio di Ulisse nell'Inferno dantesco e da un episodio significativo delle Sacre Scritture che invitano a riflettere su un tratto tipico della natura umana dell'ateo come del credente.
Quando la domenica mattina Maria si reca al sepolcro ha delle aspettative molto semplici: va a trovare il corpo del Maestro morto per prestare le sue ultime amorevoli cure. I fatti però la colgono di sorpresa: del corpo non c’è più traccia, trova i due angeli e incontra Gesù senza riconoscerlo. E’ necessario che sia proprio Gesù a chiamarla per nome “Maria!”, affinché le si aprano gli occhi e lo possa riconoscere vivo e presente nella sua vita. È evidente come Maria fosse del tutto impreparata davanti a una tale sorpresa: cercava un corpo morto e trova l’amato Maestro, vivo, che la chiama e le parla!
L’esempio citato ha un valore religioso per il cattolico ed uno simbolico per il non credente. Ciascuno viene al mondo con un potenziale immenso di risorse, nasce per dare il massimo, non per accontentarsi; nasce per cercare e pretendere il meglio, il giusto in mezzo a sacrifici e sofferenze, quando è necessario. Sono convinto che questo esempio illustra perfettamente per ogni individuo credente o no, l'incapacità tutta umana di regolare le aspettative sulla base delle nostre effettive potenzialità (autoconsapevolezza). Un problema che riguarda uomini e donne di religioni e culture diverse, che coinvolge ogni ambito della vita, personale, familiare, sociale o professionale.
Riflettendo ulteriormente sull’episodio del Vangelo, si coglie un elemento sorprendente: spesso per risparmiarci il dolore di una delusione siamo inclini ad abbassare il livello delle aspettative e di conseguenza cerchiamo molto meno di quanto in realtà potremmo raggiungere. È come se per proteggerci dalle sofferenze, avessimo sviluppato un riflesso che in prima battuta non solo ci porta alla rassegnazione, ma addirittura ci spinge perfino ad augurarla come rimedio.
Cosa può aiutarci allora a non livellare le aspettative o i traguardi verso il basso, a non accontentarci del "minimo sindacale”? Cos'è che ci spinge piuttosto a rinnovare continuamente sfide e traguardi, a innalzare le aspirazioni e aspettative ai massimi livelli? La mia risposta è univoca: l’amore. L’uomo (e la donna!) che ama, l’uomo innamorato, l’uomo appassionato sogna, immagina, costruisce, realizza, sfida, si sacrifica e si batte per i grandi ideali di giustizia, pace, uguaglianza a favore dei deboli.
L’amore e l’esperienza dell’amore con la famiglia, gli amici, il partner, il lavoro, lo sport, l'amore per la natura con tutte le sue creature, per la vita stessa è ciò di cui l’uomo non può fare a meno se desidera ardentemente realizzarsi in una vita ben vissuta e densa di significato.
Non accontentarsi è una responsabilità individuale che implica onestà con se stessi e amore verso le persone vicine. Edward Gibbon, uno storico inglese vissuto alla fine del 1700 scrisse:
"Atene perse la libertà e fu conquistata nel momento in cui la libertà che auspicava per la maggioranza dei suoi cittadini divenne libertà dalla responsabilità.”
Ora tocca a voi ragazzi: giocatevela bene perché la posta in gioco è alta. Ci guadagneremo tutti.