Brand gentili: quando la cultura diventa vantaggio competitivo

Brand gentili: quando la cultura diventa vantaggio competitivo

La storia di Beekman 1802: come la gentilezza crea fiducia, appartenenza e crescita sostenibile.

L’ultimo episodio dell’Eric Ries Show (039) acconta la storia di Beekman 1802, nata da un atto di gentilezza, che ha scelto proprio la gentilezza come leva strategica di trasformazione culturale e vantaggio competitivo.

Una decisione che nasce da una semplice intuizione, ovvero che i valori autentici possono tradursi in risultati economici, a condizione che diventino ethos aziendale duraturo, che guida comportamenti, scelte e relazioni nel tempo.

Dalla video intervista, emergono quattro idee centrali che descrivono come la gentilezza sia una forma di vantaggio competitivo e, al contempo, un’eredità aziendale che sopravvive ai fondatori.

Trasformare l’ethos in eredità

Per i fondatori, la sfida iniziale è di trasformare valori personali, in cultura d’impresa identificabile e misurabile.

Beekman 1802 ha reso la gentilezza un principio operativo: la si ritrova nel modo in cui si comunica, nel modo in cui ci si presenta ai clienti e persino nel modo in cui si progettano i prodotti.

L’azienda nasce quando i due fondatori, Dr. Brent Ridge and Josh Kilmer-Purcell, proprietari di un terreno appena acquistato, ricevono in dono una ventina di capre dal loro vicino. Per motivi economici si vede costretto a vendere il terreno, ma desidera assicurare un futuro sicuro alle sue capre, che dona ai due nuovi proprietari del terreno contiguo al suo.

L’integrazione del valore della gentilezza nel DNA di Beekman 1802 è molto concreta. I due fondatori di Beekman 1802:

  • creano The Kindness Shop, il negozio nel quale vendono le loro saponette e che traduce alla lettera il loro scopo;

  • inseriscono la gentilezza nella lista ingredienti, per fugare ogni dubbio sulla coerenza del proprio operato;

  • codificano la gentilezza in un manifesto destinato ai dipendenti, successivamente richiesto anche dai consumatori.

È così che hanno creato nella loro community il senso di appartenenza: la community diventa parte costitutiva dell’identità del brand, e l’azienda si trasforma in un luogo dove si custodisce un valore condiviso, prima di un portafoglio prodotti.

2. Il purpose non si compra, si guadagna

L’asset più prezioso di Beekman 1802 non è la notorietà del marchio, né l’estetica delle confezioni, e nemmeno la proprietà intellettuale dei prodotti.

È la fiducia della community. È credere in ciò che il brand rappresenta. È essere attratti, in modo quasi magnetico, da ciò che l’azienda sta costruendo e dal modo in cui lo fa.

“There is beauty in kindness” è il loro scopo.

Il purpose, quindi, funziona quando è messo in pratica e vissuto quotidianamente. Non basta affermarlo: occorre dimostrarlo, e soprattutto farlo nel tempo. Da qui la critica dei fondatori alla cultura imprenditoriale tipica dei “Think Tank” che, attratta dalla visibilità del denaro, perde di vista la vera ragione d’esistere.

Il purpose non è un ornamento motivazionale; è una risorsa critica, perché permette di mantenere coerenza e continuità anche quando cambia il contesto, anche e soprattutto durante le difficoltà, quando la tentazione sarebbe di inseguire l’obiettivo più facile nel breve termine.

3. Gentilezza non significa essere accomodanti

Un punto cruciale dell’intervista chiarisce la confusione tra essere gentili ed essere simpatici. Gentilezza non è debolezza. La gentilezza non si oppone alla disciplina, alla trasparenza o alla responsabilità. Al contrario, le rafforza.

Quando una persona non riesce a dare il proprio contributo, quando non si trova nel ruolo giusto, quando ogni tentativo di supporto ha già dato ciò che poteva dare, continuare a mantenerla nello stesso posto non è una forma di cura: è una forma di crudeltà.

La gentilezza, in questi casi, significa avere il coraggio di prendere una decisione difficile con rispetto e delicatezza, per permettere alla persona di trovare un luogo dove riesca ad esprimere il meglio del proprio potenziale.

Facciamo un esempio per capire meglio questa differenza? La cosa simpatica da fare è ignorare se un conoscente ha un pezzo di insalata tra i denti; la cosa gentile da fare è farglielo notare.

La differenza tra “simpatia” e “gentilezza” sta nel fatto che la simpatia evita il conflitto per non far sentire nessuno a disagio, la gentilezza affronta la verità perché nascondere la realtà è l’atto più scortese.

4. Differenziarsi attraverso l’autogentilezza

Nel settore beauty, lo standard è costruire il marketing sulla paura: paura di invecchiare, di non essere abbastanza, di essere giudicati. Beekman 1802 sceglie un’altra strada: la gentilezza come parte dal modo in cui si a cura di noi stessi.

Prendersi cura della propria pelle diventa un rituale di “self-care”, non un tentativo di correggere ciò che non va. E questa esperienza personale, sentirsi meglio con se stessi, naturalmente, tende ad riflettersi nella relazione con gli altri.

Anche questa è cultura: abilitare comportamenti positivi, virtuosi, anziché alimentare insicurezze.

Conclusione: la gentilezza come sistema operativo del business

Ciò che rende Beekman 1802 un caso interessante è il modo in cui la gentilezza è integrata nel quotidiano come guida dei processi decisionali, misura alla base di nuove metriche, riferimento nelle interazioni, ispirazione nella comunicazione, e come tale, genera valore economico a lungo termine.

Quando la cultura è veramente integrata nel sistema operativo dell’azienda, diventa un vantaggio competitivo inimitabile, unico, che si tramanda dalle persone ai clienti, e dai clienti al mercato.

In un mondo dove la corsa al profitto sovrasta la sostanza e l’autenticità, Beekman 1802 ricorda che il purpose è un’eredità e che l’eredità più significativa e rilevante per un’azienda, è ciò che i suoi prodotti o servizi fanno fiorire nelle persone (elemento che di conseguenza si traduce in valore economico).

Dieci anni di purpose in costruzione

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